LO PSICOTERAPEUTA COME “COCCOLA CUORE”
Troppo spesso nell’immagine popolare compare lo psicologo nel ruolo di “strizzacervelli”, immagine viziata dalla cultura, o incultura, dominante le cui fondamenta sembrerebbero essere il progresso, il successo, il potere e il controllo. Su queste basi viene stravolto il movimento espressivo e vitale “è mio”, ovvero il movimento aggressivo, il cui atto essenziale è l’ad-graedior ossia “l’andare verso”. Se andiamo verso le cose con l’intenzione di impossessarcene, le snaturiamo aggredendole nella loro identità e distruggendole, privandole della loro stessa natura. In questo modo non entriamo in contatto e non ci permettiamo lasciare uno spazio di ascolto per entrare in relazione con loro e permettere di risuonarci internamente.
Se pensiamo che lo psicologo strizzi i cervelli delle persone allora sì che andare in terapia può fare veramente paura!
L’immagine aggressiva dello “strizzare un cervello” non ci consente di accogliere la qualità peculiare della relazione psicoterapeutica dello “stare insieme”, del sentire lo spazio tra di noi. Ed ecco che per me arriva un’immagine molto più potente, che racconta il senso della relazione psicoterapeutica e che vede lo psicoterapeuta come “coccolacuore”. Sì perchè ciò che sentiamo, le nostre emozioni, hanno bisogno di uno spazio dove poter essere accolte, condivise, vissute nel corpo, nell’ anima e nella mente, integrate, abbracciate, protette, hanno bisogno di risuonare insieme all’altro e al creato. Infatti nel processo terapeutico, attraverso l’incontro con l’altro, si mobilitano energie funzionali al processo di integrazione psico-corporea sostenendo la connessione e riconnessione con il proprio sé autentico. Tale connessione in terapia prende avvio dalla possibilità di respirare con l’altro, incontrarne lo sguardo e poter stare nelle proprie pulsazioni vitali, sensazioni, emozioni, vissuti e immagini.
In tale contesto si evidenzia come il lavoro terapeutico, per agire su stati di blocco, prenda avvio proprio dal sentirsi protetti ed in sicurezza, condizione che permette di ascoltare il proprio corpo e le proprie sensazioni, senza bloccarle a causa di una paura anticipatoria. La terapia così intesa risulta essere dunque uno spazio e un tempo per ricercare, meravigliarsi, scoprire, cadere, rialzarsi, amare, prendersi cura di sè e di ciò che ci circonda, andare verso l’altro, rispettare, accogliere, ascoltare le proprie sensazioni e lasciar emergere emozioni, lasciar entrare e lasciar uscire, aprire il cuore e aprirsi all’amore, scoprire i propri modi di difendersi, imparare a proteggersi e a mettere dei confini.
Una qualità essenziale rispetto a questo processo è la possibilità di stare nel qui e ora e il portare l’attenzione sulle piccole intensità e su quello che è presente.
Alexander Lowen, fondatore dell’analisi bioenergetica, dice: “Lo scopo della terapia è la scoperta di sé. Tre passi portano a questo scopo. Il primo è la consapevolezza di sé. Il secondo passo è l’espressione di sé. Il terzo passo è la padronanza di sé. Ciò significa che l’individuo sa che cosa sente, è in contatto con se stesso. Sono scomparsi i sensi di colpa e la vergogna per quello che sente. Sono scomparse anche le tensioni muscolari nel corpo, che bloccavano l’espressione di sé e limitavano la consapevolezza. Al loro posto c’è l’accettazione di sé e la libertà di essere. “
Questo processo di riconnessione per l’analisi bioenergetica avviene sulla base di 2 processi essenziali: la respirazione e il grounding.
Negli stati di dolore, paura, terrore e rabbia tendiamo a trattenere il respiro o ad avere una respirazione superficiale per non percepire il dolore corporeo e l’emozione sottostante, blocchiamo il movimento, impedendo all’ossigeno di circolare fluidamente e si crea la tensione, il blocco energetico, l’interruzione del flusso e dell’armonia del corpo.
Reich Wilelm introduce il termine “armatura” caratteriale per indicare le tensioni muscolari croniche del corpo che si formano per “non sentire”, per proteggerci dalle esperienze emotive intense, e permettere la sopravvivenza, diventando uno scudo contro gli attacchi del mondo esterno. Questo sistema difensivo si attiva già nell’infanzia ed in particolare in relazione a modi di relazionarsi e a comportamenti disfunzionali delle figure di riferimento. Purtroppo molto spesso in età adulta continuiamo a mantenere attive le modalità difensive che in passato erano funzionali e che custodiscono i nostri sentimenti non espressi ed i condizionamenti mentali, che attualmente bloccano la libera espressione di sé. Tale difesa rispetto a un pericolo non più presente ci fa sentire limitati in tutte le direzioni, nella nostra mobilità ed espressività e questo può infine portarci alla sofferenza e alla malattia.
Nello spazio terapeutico, attraverso la possibilità di respirare insieme, di ascoltare il proprio respiro e la possibilità di ampliarlo attraverso delle esperienze e degli specifici esercizi bioenergetici, la persona può entrare in ascolto di quelle emozioni intrappolate favorendone così il processo di consapevolezza, di espressione e di integrazione.
L’altro elemento di base, il radicamento (grounding), ci permette di stare con i piedi a terra, a contatto con il suolo e con la nostra base sicura. Le radici sarebbero essenziali punti di appoggio e di connessione per la costruzione di una struttura flessibile che ci permette di essere sicuri nell’interazione con l’altro, di avere fiducia e “fede” (Lowen, 1972), aprendoci verso l’ambiente, perché esso non è “a priori” minaccioso e pericoloso. Sentire il nostro radicamento, la nostra connessione, la possibilità di abitare il nostro corpo e il nostro spazio interno, permette all’energia di fluire entrando e uscendo dal nostro corpo e ci permette di andare verso ciò che ci provoca piacere (Lowen, 1970), nel sacro rispetto della vita.
In sostanza la terapia bioenergetica aiuta a liberare il passato “intrappolato” nel corpo e a permettere l’emersione spontanea di una nuova risposta alla situazione presente, slegata dai condizionamenti di reazioni automatiche per difendersi dalla paura di ripetere esperienze dolorose del passato. E’ possibile allora sperimentare la possibilità di un’interazione reale e presente, percependo la possibilità di sintonizzarsi, essere contenuti, essere amati e amare, avere fiducia nelle sensazioni del proprio corpo e poterlo “abitare”.
dott.ssa Elisabetta Vespasiani